IVAN SHIKHANOV: In ogni teatro o anche in orchestra esistono le proprie tradizioni dell’arte del recitare. L’Orchestra Accademica Sinfonica di Novosibirsk compie 65 anni di lavoro nella stagione prossima, e magari esso non si paragona con i teatri con una storia di più di cento anni. Il fondatore dell’Orchestra Arnold Mikhailovich Kaz ha trasmesso ai musicanti la sua comprensione del suono, l’interpunzione, la cultura dell’interpretazione. Dopo la morte del maestro ho ricevuto il posto nell’orchestra. Quando ascoltavo le registrazioni dei tempi passati, ho scoperto che le sinfonie di Chaikovsky, Shostakovich, «Le danze sinfoniche» di Rachmaninoff suonavano molto particolarmente! Essendo un leader vero, Arnold Kaz defini il vettore dello sviluppo dell’orchestra. Ma i tempi si cambiano e l’orchestra si trasforma. Dopo la sua morte le masse orchestrali furono guidate da Gintaras Rinkyavichus, adesso da Tomas Zanderling. Ognuno di questi maestri, avendo il suo punto di vista personale, il suo approccio creativo, ha portato nella fondazione dell’orchestra qualcosa di individuale. Come i musicisti del Teatro alla Scala, sulla scena di qui svolsero le anteprime delle opere Rossini, Verdi, Puccini, riescono ancora mantenere le tradizioni delle interpretazioni impostate cosi tanto tempo fa. Come mantenere il fuoco, che è stato accesso dai tali Padri Fondatori come Arturo Toscanini, Tullio Serafin, Claudio Abbado, Ricardo Muti, che furono le persone carismatici e si scambiassero uno dopo l’atro?
ROMANO PUCCI: É difficile che si abbassi il livello artistico della Scala, perché stiamo sempre molto attenti a tenere alta la tradizione del passato. Esiste un archivio alla Scala dove si possono ascoltare tutte le vecchie registrazioni dei grandi direttori e quindi possiamo fare riferimento a queste esecuzioni. Quando io sono entrato nel Teatro c’era Claudio Abbado come direttore principale, e lui era molto fedele alle partiture. Durante il periodo che La Scala festeggiava 200 anni di attività dal 1976 al 1978 ho suonato tutte le opere tradizionali in programma, e abbiamo rispettato molto l’autenticità di queste esecuzioni. Le masse artistiche vengono sempre selezionate con attenzione alle audizioni e ai concorsi, come succede da sempre alla Scala. Ho lavorato alla Scala per 36 anni fino a 2008. Adesso ci vado solo per vedere le opere che ho suonato, perché durante gli spettacoli chiaramente ero nella buca con le spalle al palco scenico e quindi non vedevo niente.
IVAN SHIKHANOV: Hai ragione! È il tempo giusto per godere l’arte! Sei mai stato in Russia? Dopo 36 anni dedicati alla Scala oggi cosa fai nella vita?
ROMANO PUCCI: La prima tournee che ho fatto con La Scala nel 1974 è stata a Mosca al Bolshoi, è durata più di un mese. Dopo Il Bolshoi è venuto a Milano alla Scala. È stato uno scambio culturale che si è ripetuto ancora dopo 15 anni nel 1989. Adesso io faccio la libera professione, faccio concerti in tutto il mondo sia come solista che con il mio trio, che si chiama Ensemble Classica Trio composto da flauto, chitarra classica e clarinetto/mandolino. Il nostro repertorio va dalla musica antica alla musica popolare. I nostri concerti sono a tema, uno di questi è “intorno a mediterraneo” dove eseguiamo musiche popolari dell’Italia, della Grecia e della Spagna. Un altro tema che proponiamo è «dall’opera al cinema» con le arie d’opera più famose e dei film più importanti con le musiche di Morricone, Bacalov, Piovani, Rota. Altro tema è viaggio nelle Americhe dove si parte dalla musica del Portogallo fino alla musica dell’Argentina (Astor Piazzolla). Di solito dove andiamo veniamo invitati di nuovo, in Giappone andiamo già da 10 anni. Noi proponiamo al pubblico nuove interpretazioni della classica. Per esempio dall’ Orfeo e Euridice di Gluck eseguiamo «La danza degli spiriti beati», dove il flauto è protagonista. E non avendo gli archi, che sono nella versione originale, li abbiamo sostituiti con la chitarra e il mandolino pizzicati. Il risultato è stato sorprendente sia per noi che per il pubblico. Abbiamo girato quasi tutto il mondo però in Russia non siamo mai andati, e ci piacerebbe un giorno presentarci con la nostra particolare formazione anche nella vostra bella nazione.
IVAN SHIKHANOV: Certamente tu devi venire in Russia per conoscere i tuoi amici musicisti. I miei colleghi del Teatro Mariinsky e del Bolshoy raccontano le cose straordinarie. Uno di loro mi ha detto: «È una sensazione incredibile quando effettui uno spettacolo e hai davanti a te le note prerivoluzionarie con un autografo di Ernesto Köhler». Köhler fu uno tra i fondatori della scuola flautistica in Russia, un solista del Teatro Imperiale di San Pietroburgo, scrisse le opere musicali che oggi sono suonate in tutto il mondo. È bello avere un collegamento diretto con la grande storia. La mia storia invece è più modesta, posso dire che ho avuto una sensazione simile a questa, quando abbiamo eseguito La Sinfonia № 10 di Shostakovich in onore del 60 esimo anniversario della nostra orchestra. Devo dire che questa opera è stata eseguita la prima volta nel 1956 anno del concerto a Novosibirsk. In quel giorno cosi importante il primo flautista lasciò il suo autografo memorabile sulla sua partitura. La stessa cosa ho fatto io al mio tempo. È una sensazione molto emozionante, perché è come se fosse stringersi la mano attraverso gli anni.
ROMANO PUCCI: Si, esatto. Questa è un’abitudine che hanno alcuni musicisti. Anch’io l’ho fatto da qualche parte, pero non mi ricordo dove esattamente. Sono passate tonnellate di musica davanti ai miei occhi. Chiaramente, dopo 36 anni alla Scala non si può ricordare tutto. Ma vedrai che prima o poi tu o qualche nostro collega flautista su qualche spartito di Stravinsky o Shostakovich, Verdi Puccini o Brahms eccetera troverete il mio nome e la data dell’esecuzione. Mettiamo questa firma anche per motivi di soddisfazione sulle parti più difficili da eseguire per fare vedere che siamo stati all’altezza di questo compito nonostante la difficoltà.
IVAN SHIKHANOV: Però volevo chiederti del repertorio. La gente con piacere ascolta la musica classica abituale. Ogni collettivo musicale di rilievo, indubbiamente cerca di allargare le proprie esperienze con i repertori. Cerca di includere nei programmi le nuove e poco conosciute opere, cogliendo l’efficacia di questo sforzo sia per i musicisti stessi che per il proprio pubblico, anche aiutandolo ad ascoltare un nuovo linguaggio musicale, aprire le frontiere della percezione. Invece con i tour concertistici internazionali la situazione è sempre diversa. È assolutamente chiaro che il pubblico dei diversi paesi voglia ascoltare le opere di Bach, Richard Strauss in esecuzione delle orchestre tedesche. Allo stesso tempo le opere di Tchaikovsky, Rimsky-Korsakov oppure Rachmaninoff spesso si incontrano nei programmi delle orchestre russe. I miei colleghi raccontano, che una volta durante le loro tournee loro hanno eseguito La Sesta Sinfonia di Tchaikovsky 37 volte di fila. Il mio record e più modesto — 10 o 15 volte, é difficile ricordarlo. Certamente la specificità dei teatri e diversa, anche il processo di allestimento è un processo molto lungo e oneroso. Se non mi sbaglio La Scala funziona in modo stagionale, rispetto ai teatri di repertorio della Russia? Sono convinto che La Scala abbia le sue superhit d’oro, le quali sempre attirano il pubblico. Quanto spesso sulla scena scaligera appaiono le messinscene, tenendo conto che la gente dal tutto il mondo vuole come sempre ammirare della Traviata o La Bohème?
ROMANO PUCCI: Si, in tutte le stagioni alla Scala regolarmente sono presenti le opere più importanti del repertorio italiano e non solo. Per esempio ci sono le opere tedesche, francesi, tra le opere russe ricordo «Mazepa» diretta da Rostropovich, «Khovanscina», «Boris Godunov», diretta da Abbado con la regia di Lubimov. Io ho suonato tantissime volte «Il Lago dei cigni» alla Scala. Anche dopo questo è sempre bella musica. Però per eseguirlo la 100 esima volta io mettevo pilota automatico (sorride). Anche alla Scala siamo umani. «La bella addormentata» ed altre classici balleti di Chaikovsky sono molto rappresentati alla Scala. Tanti ballerini russi vengono invitati regolarmente. Il mio flauto ha suonato per Nuriev tante volte, che è stato alla Scala nel suo momento più glorioso. Mi ricordo il suo carattere riservato, quindi noi non abbiamo avuto tanta confidenza, anche perchè ognuno alla Scala è sempre molto concentrato sul suo lavoro.
A volte ci siamo incontrati al bar per un caffe. Mi ricordo questo periodo come un periodo d’oro sia per la danza che per l’opera. Adesso i tempi sono un po’ cambiati. Anche se alla Scala il livello è sempre alto, oggi non c’è più questa continuità di presenze come ai miei tempi che avevamo a rotazione i più grandi direttori di quel periodo come Maazel, Bernstein, Mehta, Kleiber, Abbado, Muti, Giulini, ma anche i russi Temirkhanov, Rozdestvensky, Aleksander Vedernikov, che è morto da poco. Poi ho suonato anche con Rostropovich come solista. I cantanti di quei momenti presenti alla Scala erano più famosi sulla scena mondiale: Carreras, Domingo, Pavarotti, Freni, Caballè, Ghiaurov etc. etc. Adesso il direttore principale è Riccardo Chailly. Con Ricсardo c’è un’amicizia particolare, perché abbiamo studiato insieme al Conservatorio Santa Cecilia di Roma dall’età di 13 anni. E tu cosa hai provato, quando hai suonato le musiche di Chiaykovsky la 10 — ma volta?
IVAN SHIKHANOV: Cercavo di fare il meglio del mio lavoro. Può essere che non tutti musicisti siano d’accordo con me, ma penso che ci si possa stancare. Innanzitutto è un lavoro difficile, anche se è creativo, in particolare considerando le particolarità di tournee: il cambiamento di fusi orari, i trasferimenti quotidiani. Lo sempre dico ai miei studenti: «Se una persona comprasse al negozio la merce scadente, la può restituire, ma se andasse a un concerto di bassa qualità, l’impressione negativa rimarrebbe sempre con lui». Ecco perché è importante mantenere un certo «senso di freschezza». Non importa dove eseguiamo il concerto — nella sala di Albert Kaz, a Londra o in una piccola città del nostro paese, non importa neanche se sei stanco e avresti voluto eseguire qualcos’altro. Se il popolo è venuto ad ascoltare la sua musica preferita, quindi è mia responsabilità di eseguirla in un modo che piaccia a loro.
ROMANO PUCCI: Certo! Conosco bene la scuola flautistica europea, ma quella russa e soprattutto siberiana invece è ancora sconosciuta per me. Ma ho conosciuto un flautista del Bolshoi Aleksander Poplavsky che è stato anche a Milano. Mi ricordo di una chiave particolare nei flauti russi che noi non usavamo. Io ho studiato con un’insegnante che ha fatto riferimento un po’ alla sсuola francese, si chiamava Silvio Clerici. Lui cercava sempre il bel suono all’italiana e una tecnica perfetta. Tutti i suoi allievi hanno occupato posti importanti nelle più famose orchestre italiane. Perché avevano la tecnica fluida e il suono molto bello, curato come una bella voce umana. Lui si concentrava molto su questa ricerca e diceva che il suono è il nostro biglietto da visita e marchio di fabbrica. E tu ci racconti come si distingue la scuola russa da tutto il resto del mondo musicale?
IVAN SHIKHANOV: Le nostre differenze sono indotte dalle caratteristiche geografiche. Il punto principale non è solo quello che la Siberia si trova lontano dai centri musicali mondiali, ma è che le regioni siberiane hanno le dimensioni incredibili rispetto alle misure europee. Quindi le scuole musicali si sviluppano e funzionano separatamente l’una dall’altra, e certamente hanno le loro particolarità. Certamente noi ci contattiamo, spesso partecipiamo ai tour internazionali, invitiamo le stelle mondiali sulle nostre scene, ma questo non si può paragonare con il crogiolo di Europa. Li nei Hochschule tedesche insegnano gli italiani e i francesi. Nell’Orchestra Filarmonica di Berlino suona l’ottavino un ragazzo russo, allievo del Conservatorio di San Pietroburgo Egor Gorkin. Il solista dell’Orchestra a Zurigo il flautista Matvey Demin è un laureato diplomato alla Scuola Musicale Speciale di Novosibirsk, lui è il vincitore del concorso di Chaikovsky. Ma direi che quello che ci unisce con i musicisti della Scala è l’aspirazione ad un approccio nell’ eseguire l’opera in modo melodioso. Quando io ascolto i flautisti italiani, sento perfettamente questo stile e particolarità cantabile. Comunque i russi e gli italiani sono veramente le nazioni cantabili. Certamente, è necessario ricordare che la nascita e l’evoluzione della scuola flautistica russa è strettamente legata agli italiani Cesare Ciardi ed Ernesto Köhler!
ROMANO PUCCI: Certo, perché noi ad esempio abbiamo il canto nel nostro DNA, abbiamo proprio questo istinto. Io per esempio ho cominciato la mia educazione musicale dal canto, poi grazie al flauto, perché la mia voce è cambiata diventando adulto, posso continuare a cantare attraverso questo strumento. Quando gli strumentisti fanno i concorsi davanti a una giuria, essa è impressionata da chi ha più cantabilità. Tutti suonano ma pochi cantano, e questi toccano maggiormente la sensibilità di chi ascolta. Poi ci sono anche i virtuosi che impressionano per la tecnica, ma nel cuore lasciano poco. Invece la sensibilità si tocca con il canto, emozionando di più. Questo è il mio punto di vista.
IVAN SHIKHANOV: Capisco e sono completamente d’accordo! Maestro, mi permetti di fare una domanda di carattere professionale? Noi sappiamo che La Scala è un teatro operistico e anche filarmonico, nel cui corpo ci sono due orchestre quella camerale e filarmonica. Quanti sono i musicisti del Teatro? Quanto li impegna il loro? Ad esempio adesso nel Teatro Mariinsky lavorano più di 20 flautisti. Il loro impegno è mostruoso: concerti in Teatro e anche le tournee. Gli artisti di Novosibirsk a volte hanno 3 chiamate al giorno. In generale è un regime piuttosto stressante. È simile al vostro ritmo di lavoro? Come affrontate l’esaurimento emotivo cosi difficile?
ROMANO PUCCI: Al Teatro della Scala noi non abbiamo 20 flautisti, ma solo 5 o 6. Però con la Filarmonica il lavoro aumenta. Mentre il programma della Scala lo devi eseguire per forza ed essere sempre presente, nella Filarmonica sei libero anche di rifiutare l’impegno se sei stanco del lavoro scaligero. Per un periodo abbastanza lungo l’orchestra è stata inattiva. Adesso hanno ricominciato a fare i concerti streaming senza pubblico nel teatro. Ad esempio un mese fa hanno fatto un giorno di balletto in memoria di Nuriev, che è stato trasmesso online ed è stato molto apprezzato dal tutto il pubblico digitale che ha seguito l’evento.
IVAN SHIKHANOV: Per fortuna da agosto abbiamo la possibilità quotidiana di incontrarci e fare insieme i concerti in diretta. Ed anche ci hanno permesso di occupare completamente le sale filarmoniche con il pubblico. Per gli artisti e maestri europei, che vengono da noi è un goccio di area fresca. Dicono «È il mio primo concerto dal marzo scorso!»
ROMANO PUCCI: Beati voi! Speriamo di avere stessa possibilità a breve!
IVAN SHIKHANOV: Ma vorrei conoscere tanto una tua opinione su di una questione. Da quando ci hanno messo in quarantena nel mondo culturale è iniziata una serie di trasmissioni gratuite. I musicisti facevano concerti online, molte orchestre e teatri europei hanno deciso di non fare pagare i concerti rendendoli accessibili a tutti. Indubbiamente, è una cosa nobile. Però tra gli stessi artisti è sorta una discussione: qualcuno diceva che la pandemia è un problema comune e che gli artisti debbano regalare l’arte alla gente e sostenerla moralmente. Mentre gli altri sostenevano l’opinione che in tal modo il lavoro artistico fosse azzerato, permettendo alla gente di ricevere l’arte gratis. Quelli che sono interessati, indubbiamente arrivano ai concerti e ai teatri per godere lo spirito della musica. Però la nuova generazione è immersa completamente nel mondo digitale di Internet e la maggior parte di essi non è stata mai ai concerti filarmonici nelle sale operistiche. Quindi essi non conoscono la differenza tra un ascolto della musica online e quella dal vivo. E se non c’è nessuna differenza allora perché non schiacciare il bottone e cosi ricevere un prodotto culturale di qualità sufficiente semplicemente facendo un click sul computer?
ROMANO PUCCI: Loro devono essere educati all’ascolto live, perché le emozioni sono diverse. Quando fai la registrazione di un CD ripeti tutto cento volte finche non raggiungi quasi la perfezione, pero quando ascolti la musica dal vivo le emozioni ti arrivano dalla presenza fisica del pubblico. E se ci sono degli errori non disturbano. Non è fatta cosi la musica per essere ascoltata via CD. Avendo qualcuno visivamente vicino anche agli artisti scattano altre emozioni. Senza pubblico la vedo come una cosa fredda. I giovani devono seguire concerti online ma cercare quando è possibile di ascoltarli dal vivo. Questo regala emozioni completamente diverse. Per quanto riguarda il pagamento degli artisti secondo me è giusto donare un po’ di musica a chi è a casa specialmente in questo momento. Però noi abbiamo sponsor importanti che coprono le spese del Teatro. E per sopravvivenza non c’è problema. La gente in genere è molto felice per queste iniziative. Ricordo che una volta in Svizzera ho fatto un concerto per flauto e pianoforte in un istituto per disabili, e una signora sulla carrozzella alla fine del concerto ha detto a me una frase che ricorderò tutta la vita: «Maestro oggi mi sono sentita spuntare le ali». Ancora oggi mi viene la pelle d’oca ricordarlo. E questo ti spinge a donare la musica come donare il sangue sempre di più.
IVAN SHIKHANOV: Che bello! A proposito, è vero che negli ultimi tempi l’opera europea sta constatando l’invecchiamento del pubblico? Ad esempio in Russia il ballo è più popolare dell’opera. Sarebbe interessante sapere come La Scala attira l’attenzione della gioventù? Posso notare che ai nostri concerti per fortuna vedo i giovani visitatori più spesso!
ROMANO PUCCI: Il 7 dicembre è una data importantissima per Milano. È il giorno del nostro protettore milanese Sant’Ambrogio, ma anche il giorno dell’apertura della stagione scaligera con la presenza del Presidente dell’Italia ed alcune tra le tante persone più importanti del mondo. Di questo evento tre o quattro giorni prima fanno l’apertura ai giovani con biglietti da 10 euro, e i ragazzi fanno la lotta per averlo. Adesso fanno anche la Scala per i bambini e fanno vedere Cenerentola e le opere più facili, sono fatti apposta per educare i più piccoli all’opera. Il Teatro è sempre pieno di bambini. Cosi i ragazzi crescono interessati e pronti all’attività culturale e ad amare la musica sicuramente.
IVAN SHIKHANOV: Quanto costa il biglietto di un concerto classico o operistico in Italia? In Germania il biglietto per il nostro concerto può costare dieci volte in più dello stesso concerto a Novosibirsk. Una volta ad Aachen, quando il costo del biglietto e arrivato fino a 40 euro, un mio amico mi ha detto «Scusa, io non vengo al vostro concerto. Tra due settimane arriva l’orchestra di Vienna col prezzo del biglietto a 20 euro». Anche queste cifre non sono poche per la Russia.
ROMANO PUCCI: Il 7 Dicembre un biglietto può costare anche 2000 euro per un posto in platea o nei palchi. Questo solo per la serata di gala. Poi alle repliche dello stesso spettacolo i prezzi tornano normali. Per i balletti i prezzi sono più ridotti. Per le opere dipende dalla serata, che può variare se è prima, seconda o terza rappresentazione. Per i concerti ci sono pacchetti invitanti e c’è sempre la possibilità di scegliere. E quindi se sei in galleria è un costo, invece per un posto in palco o in platea è un altro. Questo influisce molto sulle possibilità economiche dei giovani che a volte non possono permettersi questa spesa. Però l’amore per la musica è come la passione per il gioco, spendi tutto per partecipare! È una specie di dipendenza come un gioco d’azzardo. Se la musica è una droga la gente spende qualsiasi cifra per ricevere la sua dose di emozioni.
IVAN SHIKHANOV: Si, veramente dipende dall’approccio. Io insegno nel collegio di Novosibirsk, da poco sono tornato al conservatorio. Tu hai studenti, Maestro? L’educazione musicale in Russia ed Europa hanno tante differenze? Interessante è sapere che cosa è importante per gli insegnanti? Qual’è il ruolo delle classi insieme ed orchestra nel processo dello studio? Secondo te esistono le particolarità nell’insegnamento dei flautisti in Italia?
ROMANO PUCCI: Sono stato anche docente all’Accademia della Scala, insegnavo a giovani strumentisti che dovevano prepararsi all’attività nell’orchestra. Quindi facevo studiare i soli più importanti, cosi preparavo i ragazzi al repertorio flautistico internazionale. Dopo il mio lavoro nel Teatro ho continuato a fare masterclass in Svizzera, Giappone, Croazia e in Italia. Adesso una mia studentessa sta facendo il primo flauto nell’orchestra giovanile Cherubini e sta suonando con il maestro Muti. Abbiamo iniziato da zero e come il mio maestro Clerici ho curato molto la qualità del suono. E quando i miei allievi vanno ai concorsi, la giuria rimane impressionata subito dalla purezza di questo timbro. Quindi importante avere la base corretta di impostazione, senza questo anche un talento arriva ad un certo livello e non va più su. Quando io sono entrato nella Scala, non avevo molta esperienza di orchestra e ho dovuto studiare tanto. Però avevo la base solida che mi permetteva di preparare tutto in un modo corretto ed affrontare tutte le difficoltà che si presentavano. Invece adesso i giovani sono più preparati perché ci sono molte orchestre giovanili e quando entrano in un’orchestra stabile hanno già un’esperienza incredibile.
IVAN SHIKHANOV: Quali strumenti suonano i musicisti della vostra orchestra? Ad esempio io ho due flauti di due produttori giapponesi. E tu, ha il suo strumento musicale preferito? Conosco che in Europa sono molto popolari gli strumenti di legno… quindi è una consistenza del materiale assolutamente diversa, ma anche il timbro. Ci racconti delle tue preferenze?
ROMANO PUCCI: Adesso io sto usando uno strumento giapponese Sankyo, d’oro leggero di 9 carati con i tasti d’argento. Questo mi da un suono e un risultato molto piacevole e lo sto usando da più di 30 anni. Quando smetterò di suonare magari lo lascerò al Museo della Scala. Insomma quando la mia bombola dell’ossigeno si esaurirà (sorride). All’inizio della mia carriera quando ho vinto il concorso alla Scala avevo uno strumento americano d’argento Haynes. E il primo amore non si scorda mai. Come suona l’argento mi piace e mi da molta soddisfazione timbrica. Posseggo uno strumento francese che non uso ma lo devo aggiustare. È uno strumento del 1800 fatto da un costruttore specialista di flauti dell’epoca di Parigi Luis Lot, quindi è uno strumento particolare. Mi è stato regalato. Potrei donarlo un giorno al Museo della Scala, dove ho già visto il flauto di un flautista che suonava con Toscanini.
IVAN SHIKHANOV: Per quanto riguarda dei gusti, Maestro! In Russia noi abbiamo un piatto tipico il borsch, che ogni casalinga lo prepara a modo suo. E tu, hai una ricetta famigliare della pasta? Come la faceva tua nonna?
ROMANO PUCCI: Certo che c’è l’ho! Si può fare la pasta fatta in casa: fettuccine, pappardelle, tagliatelle! Siccome io sono della zona di Roma, la nostra cucina e molto legata alla cultura etrusco-romana. Noi mangiamo gli spaghetti all’amatriciana, carbonara, cacio e pepe, che sono i piatti tipici romani. Poi ogni regione in Italia ha la sua specialità, quindi non ci manca la fantasia. Il mio piatto preferito è paglia e fieno (fettuccine molto sottili tagliate a mano con ragù di carne), o gnocchi con costolette di maiale. Il cibo per noi è molto importante. E da voi quali sono le tradizioni siberiane?
IVAN SHIKHANOV: Se parliamo delle tradizioni gastronomiche teatrali c’è un’abitudine nel teatro operistico, devi per forza prendere una tartina con caviale rosso e un bicchiere di spumante.
ROMANO PUCCI: Importante è non bere durante lo spettacolo se devi suonare, ma è una bella tradizione! Sono d’accordo che bisogna sodisfare tutte le esigenze. Qui non si prende caviale, c’è un tost con prosciutto e formaggio che accompagna benissimo il prosecco per festeggiare una bella esecuzione di un concerto con gli amici. E come preferisci tu passare il tempo libero?
IVAN SHIKHANOV: Il mio posto preferito sulla terra è il lago Baikal. Li abitano i miei genitori, la mia casa è li. A Novosibirsk invece sono dal 2008, e appena mi sono un po’ abituato a vivere qui. Però nelle vacanze mi sempre viene voglia di tornare ai patri lidi. Baikal è sempre e ovunque diverso, è un posto unico, meraviglioso. Semplicemente arrivi all’isola Olkhon, ti accampi in qualche casetta vecchia, fai delle passeggiate, godi quel miracolo e tutti i problemi sembrano sparire. È un posto incredibilmente fantastico, favoloso, ha molteplici lati, energeticamente molto forte, Ti inviterei volentieri e sarei la tua guida sulle rive del lago. Tu come preferisci fare le vacanze? Per un musicista il riposo migliore è il silenzio. Per dire, mia moglie è anche musicista, quindi nella questione di amare il silenzio siamo assolutamente solidali. In generale il pegno di felicità a casa nostra è quella di non parlare del lavoro a casa. Però certamente a volte ascoltiamo la musica insieme. Anche qualche volta posso ascoltare qualcosa di inaspettato, cio’é chanson o heavy metal, per togliere dalla testa qualche melodia, incastrata nella mia mente dopo molteplici ed infinite ripetizioni.
ROMANO PUCCI: Esatto! Come abbiamo già detto del povero Lago dei Cigni! Invece la mia casa è nel Lazio in provincia di Viterbo, dove c’erano i miei genitori. È un posto molto silenzioso, verde, pieno di boschi, laghi e vicino al mare: sono posti ideali per riposare. Io non ascolto molto la musica, ma mi diverto a suonare un po’ di jazz, improvvisazioni, cose nuove e diverse da quello che ho fatto, e cercare nuove forme di comunicazione musicale. Certamente visitare il lago Baikal sarebbe bello, mi piace conoscere posti nuovi. Ma, Ivan, ho una curiosità se permetti. Quando ci sono 50 gradi sotto zero al flauto non si bloccano le chiavi? Come fate voi con lo strumento?
IVAN SHIKHANOV: Lo facciamo bere con noi.
ROMANO PUCCI: Hahaha!
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