Momento della conversione

9 / 2021     RU / ITA
Momento della conversione
Иосиф Верт глава Преображенской епархии Римско-Католической церкви

Le otto beatitudini evangeliche sono conosciute in un modo o nell’altro  a tutti: beati i poveri in spirito, beati gli afflitti, beati i miti, beati i misericordiosi e i puri di cuore — suggerisce la memoria, quando cominciamo a riflettere sulla felicità. Ma come capire queste righe oggi  quando tutto l’ordine sociale si regge sul principio «la felicità è nel godimento»?

Per avere interpretazione della saggezza biblica dal punto di vista moderno ci siamo rivolti al capo dei cattolici siberiani, il vescovo Joseph Werth. Parlando con lui abbiamo fatto un meraviglioso viaggio dell’anima che attraverso esempi divini e terrestri impara a trovare la vera gioia e a donarla agli altri.

LT: Eccellenza, nella nostra conversazione Lei si è rivolto al Catechismo dove è detto che il Signore ci ha dato la vita perché noi Lo conosciamo, Lo serviamo, Lo amiamo e così raggiungiamo la beatitudine in Dio. Se noi ci basiamo su queste categorie proviamo a riflettere sulla felicità come se ci leggessero sia le persone credenti sia quelle che non si relazionano con qualche dottrina a Dio.

JOSEPH WERTH: Parlare della fede come se si pensasse con la paura — come fare per non ferire i sentimenti di qualcuno (sorride). Non è affatto necessario. Una persona credente ha una comunicazione viva con Dio, come un bambino che ama suo padre e sua madre e si rivolge a loro senza paura. Per gli altri invece non c’è nessun disagio — gli alti sensi hanno sempre occupato le menti umane e di generazione in generazione convincendosi che neppure i miliardi rendono una persona felice, ritorniamo alla questione che cosa sia la felicità e come raggiungerla. E qui essendo un ecclesiastico rispondo in modo semplice: Dio è un Bene infinito e, dopo averLo conosciuto, cercheremo di servirLo, e un giorno, uniti a Egli, di ritrovare proprio quella felicità. In sostanza il Signore ha creato il mondo proprio per questo: possedendo una felicità inesauribile Egli voleva condividerla con qualcuno e ha creato un uomo con la sua anima immortale. Sono cose semplici ma ne parlo perché il nostro paese ha vissuto 70 anni di ateismo militante, sostituito dall’edonismo moderno, diffuso ormai in tutto il mondo. Direi che a molti è stata strappata la fede dal cuore e insieme ad essa anche la loro attitudine alla felicità proprio come ad un bene comune.

E senza guardare la società una persona può essere felice?

Forse può pensare di essere felice. Ma divento triste quando vedo esempi simili. Il Signore vuole che tutte le persone vivano in modo normale, abbiano un certo comfort, ma alcuni misurano il loro comfort in milioni, miliardi. Papa Francesco, come i suoi predecessori, per tutti gli anni del suo pontificato invita alla moderazione nei consumi per quelli che oggi muoiono di fame, per le generazioni future dopo tutto. D’altra parte, mi rendo conto che una persona che cerca l’arrichimento personale non la impressionano le sofferenze delle persone astratte.

Direi che a molti è stata strappata la fede dal cuore
e insieme  ad essa anche la loro attitudine
alla felicità proprio come ad un bene comune

Perciò vorrei raccontare un esempio curioso dalla mia biografia. Alla fine degli anni ‘90 mi hanno cominciato ad invitare in Svizzera affinché io aiutassi il lavoro dei fondi di beneficenza con i miei racconti della vita in Russia. Durante una di quelle visite un rappresentante del fondo cattolico mi ha proposto di passare alcuni giorni al monastero di Santa Hildegardis sul Lago Maggiore nelle Alpi svizzere. Ero ancora giovane, pieno di idealismo e romanticismo e sicuramente resistevo all’idea stessa di riposo, ma alla fine ho comunque accettato. Al monastero mi hanno sistemato negli appartamenti per alti ospiti e quando sono uscito sul balcone, mi ha tolto il fiato: davanti a me si estendeva perfetto nella sua bellezza lago Maggiore, intorno c’erano le montagne pittoresche, il lungolago edificato dalle graziose casette e sullo specchio del lago si riposavano lussuosi yacht. Il rappresentante del fondo che mi accompagnava ha detto che quello era il posto più bello d’Europa ed ero assolutamento d’accordo con lui. L’anno successivo, dopo un ordinario ciclo delle prediche nelle chiese cattoliche della Svizzera ho trascorso di nuovo qualche giorno nello stesso monastero sul favoloso lago nelle Alpi… Dopo circa 10 anni mi sono reso conto che i paesaggi locali non mi colpiscono così tanto. Allora ho ricordato come la mamma ci diceva da bambini: la persona si abitua a tutto e solo la bellezza del Regno di Dio è sconfinata e inconcepibile per noi.

La maggior parte delle persone sarebbe d’accordo sul fatto che la felicità non riguarda il denaro e nemmeno le impressioni che ci si può comprare, ma le «cose semplici»: una famiglia unita, una buona salute, una bella giornata piena di sole fuori dalla finestra.

Da un lato, questo è vero, ma direi che queste cose hanno a che fare con la natura sensuale della felicità, mentre l’uomo non è solo un corpo ma anche un’anima. Sono cresciuto nella famiglia cattolica e la nostra conversazione con Dio era semplice: pregavamo, confidavamo in Dio, Lo ringraziavamo. Però a 21 anni ho sentito una vocazione al sacerdozio e per circa un anno nella mia anima si è svolta una seria lotta interiore — come pensavo allora era lotta con me stesso ma in realtà con Dio. All’inizio degli anni 70 nell’URSS diventare prete significava quasi di sicuro la prigione in futuro. A Karaganda non ho incontrato nessun sacerdote che non fosse stato in prigione. Questo non mi spaventava: pregavo solo di non essere imprigionato subito, ma tra una decina d’anni, in modo da potermi preparare bene al sacerdozio e avere il tempo di fare almeno qualcosa per la Chiesa. Ho condiviso i miei pensieri con il mio primo maestro, il vescovo clandestino Alexander Chira che dopo i campi staliniani era a Karaganda in esilio. Lui mi ha risposto che nella discussione con Dio bisognava trovare argomenti elevati e mi sono reso conto che i miei dubbi non erano legati affatto con la prigione ma con il fatto che tutti i miei amici, anzi tutte le persone che conoscevo, vivevano una vita normale mentre io avevo un percorso molto diverso da seguire.

Che era diverso dalla semplice felicità umana.

Inoltre, questo percorso di per sé non era una garanzia di ricevere la grazia come la intendono i cristiani. Mi spiego. A tutti è sicuramente ben nota Madre Teresa ovvero Santa Teresa di Calcutta. Lei nacque in una famiglia benestante ma già da giovane sentì la chiamata a servire Dio. L’ordine religioso la mandò in India dove all’inizio viveva in condizioni abbastanza confortevoli (quanto sia possibile per una suora), insegnando alle bambine presso la chiesa di Santa Maria. Tuttavia sicuramente la sofferenza delle persone delle caste inferiori non poteva lasciarla indifferente. Un giorno sentì una voce interiore che le ordinava di vivere tra i poveri e di aiutarli. Per alcuni anni cercò di ottenere il permesso di lasciare il suo monastero e fondare l’Ordine delle Missionarie della carità, e finalmente quel permesso fu ottenuto da Papa Pio XII. Penso che per Madre Teresa sia stata una grande gioia sentire come il Signore la chiamava e poter rispondere pienamente a quella chiamata. Sembrerebbe che questa fosse una felicità di un cristiano e per i primi anni Teresa di Calcutta fu veramente in uno stato d’anima elevato. Io probabilmente provavo qualcosa di simile quando alla fine ho accettato la volontà di Dio e ho intrapreso il cammino verso il sacerdozio — è stato il mio giorno più felice, mi sentivo volare. Comunque, ritorniamo a Madre Teresa. Ha compiuto il suo dovere davanti a Dio, ha ottenuto il riconoscimento mondiale, il suo nome è diventato un nome comune e oggi è canonizzata. Tuttavia oggi studiando i suoi manoscritti scopriamo che, secondo la sua confessione, per 50 anni della sua vita ha vissuto nel buio spirituale. Come capire questo? Nelle sue fotografie Madre Teresa è sempre gioiosa e le sue opere sono segnate dalla grazia Divina. Risulta che quella non è ancora la piena felicità e festa dello spirito di cui parla Cristo, paragonando la vita eterna dei salvati all’eterno banchetto nuziale.

Forse la risposta sta nei segreti della felicità di Papa Francesco? Tra cui ci sono la generosità e la misericordia, la creatività, l’apertura, la mentalità positiva, l’andare avanti e… il sano riposo.

«La domenica è per la famiglia», dice il pontefice e lo diceva anche mia mamma, tutto è vero. Io avvertirei la gente dallo stacanovismo insano, specialmente in nome dell’arrichimento personale: la ricerca del successo combinata con un comportamento consumistico si rivela vuota e deludente — anche l’ex primo ministro del Giappone è morto dall’esaurimento. Dio disse ad Adamo «ti guadagnerai il pane col sudore della fronte», ma credo che ogni persona abbia sudato facendo un lavoro fisico o intellettuale. Tuttavia, sicuramente il Signore non aspetta da noi un lavoro da schiavi: ci dà dei talenti che realizziamo, qualcuno in modo maggiore altro in modo minore e in questo consiste la libertà come la più grande benedizione divina. Questo, tra l’altro, va anche alla questione del perché Dio non ha originariamente reso tutti felici: come un genitore attento, ci ha lasciato la nostra libertà di scegliere.

Ma Lei non appartiene alle persone che possono permettersi la vita ordinata, ogni sua giornata è piena di impegni. Che cos’è il sano riposo secondo Lei?

Negli anni ‘70, all’inizio del mio cammino spirituale, sono entrato nella Compagnia di Gesù in Lituania. La vita nei monasteri gesuiti è organizzata in modo molto saggio: lì funzionano le regole, verificate per secoli, perciò è molto più facile per un prete dividere il suo tempo. Ne condivido una: prima fai ciò che è necessario, poi ciò che è utile e solo dopo ciò che vuoi. Se oggi è necessario gettare tutta la vostra energia nel vostro lavoro per aiutare le persone, allora lavorate con il sudore sulla vostra fronte, siccome è necessario. Ma se invece siete esauriti fino al limite allora la cosa più necessaria sia il riposo. Tenendo conto del fortissimo carico emotivo sulla persona moderna, ripenserei il concetto del riposo come la capacità di prendersi una pausa in momento giusto, calmarsi, prendere coscienza di tutto ciò che succede nella vita e riflettere su quale sia la cosa più importante tra questo. Sarebbe meglio farlo non in un momento in cui tutto sta già cadendo a pezzi ma praticare gli esercizi spirituali come parte della propria vita. I gesuiti, come anche tutti i sacerdoti, monaci e suore, hanno la regola di ritirarsi ogni anno per una settimana o addirittura un mese dal mondo e impegnarsi solo della comunicazione con Dio, non comunicando con nessuno tranne il suo iniziatore. Quando lo fai per la prima volta ad un certo punto ti rendi conto che non sei più guidato sul tuo cammino dall’iniziatore ma dal Signore stesso. È una tale sensazione di unione con Dio incredibile, una tale euforia, una tale felicità, che quando sono venuto a Karaganda per la prima volta dopo essere entrato nella Compagnia la mia piccola sorellina (ora suora a Krasnodar) Rosa era stupita perché io ridessi sempre. Ma io davvero provavo la gioia e questa sensazione, avendo il fondamento spirituale, è durata abbastanza a lungo. Tuttavia, facendo gli esercizi spirituali per la seconda volta, all’inizio ero un po’ deluso: la novità delle sensazioni era sparita, l’euforia precedente non c’era. Ma mi hanno aiutato gli appunti che avevo preso durante la pratica spirituale. Rivolgendomi ad essi mi sono reso conto che la mia seconda comunicazione con Dio è andata meglio: ci sono stati meno emozioni e più pensieri ragionevoli. Consiglio a ognuno nella preghiera serale almeno per due-tre minuti di svolgere un esame di coscienza con un breve riassunto dei risultati della giornata. E se esiste questa opportunità, allora una volta all’anno per tre giorni o anche per una settimana allontanarsi dalla confusione mondana che fagocita sia i credenti che i non credenti.

Secondo Frankl: imparare a gestire i propri pensieri, umore, stato della mente senza dipendere dalle circostanze.

Su questo argomento consiglio di leggere le memorie di Walter Ciszek che ha passato 23 anni nei campi di lavoro sovietici. Di origine americana, arrivò in Russia poco prima della seconda guerra mondiale per scoprire se ci fosse possibile l’attività pastorale. Nel 1941, quando la Germania attaccò l’URSS, Ciszek fu arrestato come politicamente inaffidabile e accusato di spionaggio. Dopo un pesantissimo interrogatorio di sei mesi alla prigione di Lubjanka firmò una confessione, dopo di che sprofondò in una depressione, piena di vergogna e senso di colpa. Spinto alla disperazione, pensava al suicidio e con le ultime forze si rivolse al Signore con la preghiera: «non sia fatta la Mia volontà, ma la Tua» e ricevette consolazione. Quel momento, durato un po’ più di un’ora, lui stesso lo chiama «il momento della conversione»: avendo subito il crollo delle proprie forze, si è affidato alla volontà di Dio e ha trovato la pace dello spirito. Un accordo per collaborare con servizio segreto sovietico non lo firmò nonostante fosse sicuro che sarebbe stato fucilato per questo. Ma pure le sue guardie in quei minuti le percepiva come messaggeri di Dio. Ciszek non fu fucilato, ma condannato ai lavori forzati, e descrive i lunghi anni sulle rive settentrionali della Siberia come il cammino della persona felice che vedeva la luce sia nei suoi seguaci che nei suoi tormentatori.

È obbligatorio soffrire come Ciszek oppure vivere una vita lunga e difficile per ritrovare una completa armonia interiore?

A Karaganda conoscevo due sorelle che vivevano come suore devote, e quando una di loro è morta dopo il funerale hanno chiesto all’altra perché non piangesse. Lei ha risposto: perché piangere, mia sorella è dal Signore e ci rivedremo presto. Queste due donne hanno vissuto in silenzio, non hanno creato grandi cose, non hanno fatto niente di eroico, ma che esempio di pace e fiducia in Dio! Tuttavia per aumentare la grazia e poterla condividere con gli altri serve una certa tempra spirituale. Vorrei ricordare della servitrice di Dio nel mondo Gertrude Detzel, la mia concittadina che è nata prima dell’arrivo del potere sovietico e per tutta la vita è stata perseguitata per la sua fede. Ma nonostante tutte le prove subite, brillava sempre di gioia. No, non rideva, era quasi sempre seria, ma durante le sue discussioni sui testi della Scrittura tutta la comunità cattolica piangeva dalla felicità. Anche adesso faccio fatica a trattenere le lacrime quando ricordo il volto luminoso di Gertrude il giorno di Pasqua quando parlava di come Gesù, trasfigurato nella sua risurrezione, ha squarciato la pietra tombale come un raggio di sole squarcia il vetro. A volte mi sembra che anche in una chiesa riccamente decorata per la festa, dove risuonano canti pasquali, sia difficile provare una gioia più grande di quella di cui era piena Gertrude e che condivideva con noi.

Una laica ha dimostrato di essere, in un certo senso, una guida spirituale per l’intera comunità. E Lei come pastore la cui area di influenza si diffonde per un immenso territorio dagli Urali ai confini della Siberia occidentale, ha trovato l’immagine di felicità che coincide in modo più preciso con questo livello di responsabilità?

Adesso ascolto audiolibro che ho letto 45 anni fa. Si chiama «Il canto di Bernadette». È un’interpretazione artistica su giovane suora Bernadette da cui a metà del XIX secolo venne 15 volte Madre di Dio. Nel libro c’è un momento quando Madonna dice a Bernadette che può prometterle la felicità non in questa vita, ma in quella futura. Infatti: le condizioni severe del monastero nella sua giovinezza, l’opposizione dei cittadini che all’inizio consideravano Bernadette pazza e poi il cancro alle ossa — la vita della donna è stata tormentosa e il mistero di quelle sofferenze è difficile da capire se non sai il loro senso. Ma io l’ho trovato per me.

E questo fortissimo grido dei martiri del XX secolo alla fine
ha compiuto un miracolo nella cui possibilità ormai credevano pochissimi. Oggi viviamo nella libertà, nella salute, riflettiamo sulla felicità grazie all’altezza dello spirito di quelle persone

Nel 1992 sono stato a Magadan, ho visitato uno degli ex campi. Lì ci hanno fatto vedere una cella di punizione: una piccola stanza, una stufa di ghisa su un lato, una finestra sbarrata in alto sull’altro. Forse d’inverno a chi ci si trovava i piedi quasi quasi non bruciavano per il calore della stufa di ghisa mentre i capelli si congelavano alle pareti dal vento che soffiava dalla finestra e così per 10, 20, 30 giorni. Prima ci avevano fatto vedere il cimitero del campo: i carcerati erano sepolti nelle fosse tra le colline e alcune tombe erano segnate dalle croci fatte a mano: lì erano sepolti i sacerdoti. E ho pensato che in quel carcere forse una volta fosse anche imprigionato un prete. A che cosa pensava? Ho cercato di sentirlo. Magari guardava un pezzo di cielo nella finestra come un’icona e sicuramente pregava per i suoi compagni e anche per se stesso. Ma siccome il cristianesimo è una religione del perdono, allora pregava anche per i suoi tormentatori affinché Dio li perdonasse. E poi sono stato folgorato che lui pregava anche per noi che viviamo oggi, pregava per la conversione della Russia perché nel nostro paese ritornasse la fede, sacrificava a Dio tutta la sua sofferenza, il dolore e la vita stessa. E mi sono immaginato migliaia e migliaia di altre persone che hanno sofferto a GULAG. Moltissimi di loro hanno davvero sacrificato la loro vita. Come Cristo sulla croce. E questo fortissimo grido dei martiri del XX secolo alla fine ha compiuto un miracolo nella cui possibilità ormai credevano pochissimi. Oggi viviamo nella libertà, nella salute, riflettiamo sulla felicità grazie all’altezza dello spirito di quelle persone. Quindi solo rivolgendo i nostri pensieri al destino dell’umanità e delle generazioni future scopriremo quel massimo grado di gioia in cui si diventa veramente ed infinitamente felici.

Текст: Марина Кондратьева
Фото: Андрей Бортко